17.5.08

Capitolo Palindromo (seconda parte)

Cippa - Oh... Vedrò che fare... dunque:

“Si è spento oggi, il giorno di...” Capostazione, che giorno è oggi?

Gigi - Oggi è il giorno vago: giovedì. Giovedì 33 Brulicajo. Cioè sant’Attàccati.
Cippa -
Grazie.


“Si è spento oggi giovedì 33 Brulicajo quel sant’uomo di Cippa. Ne dà notizia lo stesso nano, in via del tutto eccezionale data la gravità dell’evento al quale non ha saputo mancare. E’ mancato, difatti, ma in un altro senso, per via d’una commozione troppo forte in lui suscitata dal racconto d’una barzelletta osè che parlava di tettecculi. Nello struggente ricordo, ci piace ricordare la sua infanzia, trascorsa tutta in tenera età, e la sua adolescenza, passata con gran senso del dovere e del tempismo fino ai diciott’anni. Trovatello quasi per caso, dato che la madre lo aveva gettato in un cassonetto per nani, fu allevato da una conclave di alti prelati per tutto un pomeriggio, indi, una volta che i prelati si stufarono di lanciarlo nel canestro, trasferito a completare l’addestramento da porcilajo in un collesgs di rimomata fama: la scuola per porcilaj G. Sabani. Ottenuto a pieni voti il prezioso diploma, il tenero virgulto fu strappato al suo paese da un violento raffreddore, che dovette andarsi a curare da un santone Efebita di nome Systola. Una volta guarito, esso volle rimanere con il suo ormai amico Systola, un brav’uomo effemminato e vigliacco, col quele spesso si dilettò nell’eloquio filosofico. Una volta che s’alzava ad uno dei due il probema, ecco subito accorrere l’altro a tastarlo con mano. Ovviamente ogniun dei due ci voleva metter bocca, e dopo una più approfondita diesamina orale dell’argomento, ecco lesto Cippa prodigarsi per introdurne subito un altro, di ben più greve spessore morfologico. Una volta saziate le reciproche avidità intellettuali, i due, stremati da sittali tenzoni, lasciavano che il problema sollevato in precedenza si affievolisse, per poi stuzzicarlo a turno per tutta la durata del giorno con saporiti calambours...”

Se sono troppo volgare dimmelo, mi fermo.

Gigi - Volgare? E perché?
Cippa - No, per questa metafora del discorso...
Gigi - Metafora? Cosa, il cimento filosofico? A me m’è parso assai istruttivo, invece. Ma metafora di che, scusa?
Cippa - Nix, fai conto di nulla. Proseguo:

“L’attrazione per la filosofia portò Cippa ad inseguire le sue chimere in lungo e in largo. Chimere ch’erano a volte di facile portata, altre volte di più difficile raggiungimento: esse fuggivan sempre via alla vista della determinazione quasi famelica di Cippa, che si trovava a volte a doverle stordire con un randello per poter abusare di loro...”
Sono stato troppo esplicito?

Gigi - No, perché? Ah, che belle le chimere... quei sogni che al mattino son sempre lì, e che mai si realizzano... tuttavia trovo innaturale il volerle stordire col randello, ma il racconto è tuo.
Cippa - Mi sa che non hai capito un bel segone nulla. Ma continuiamo:
“Proprio per sfuggire alla vendetta perpetrata dal padre di una di queste Chimere (o Chimero, non ricordo, ma tanto Cippa non ha mai fatto troppe differenze: era di bocca assai buona, come dimostra quella volta della capra), ma non divaghiamo, questo è un triste necrologio.

“Proprio per sfuggire a quella vendetta Cippa si vide costretto a fuggire su di una nave di Pyrati: quella del bieco Ruttolo, un luogotenente di Balbetta. Dato che i ranghi sulla nave eran al completo e che Cippa era ricercato nientepopò dimeno ché dal capo delle Guardie Regie di Ssilofono, al quale aveva rimbombato benebene la figliola, il nostro eroe dovette abbassarsi (in tutti i sensi) ai lavori manuali (e non) più sudici e irriguardosi, pur di aver salva la vita. Con le sue doti, Cippa, entrò subito nello spirito di corpo della ciurma: per tre anni prestò i suoi servizi, oltre a quelli di cuoco, sulla nave, e poco ci mancò che, dopo tanto esagerare, la natura si ribellasse e lo facesse rimanere incinto. Ma questo non sarebbe stato possibile, e Cippa si salvò un’altra volta...”
Ma sei sicuro che pei binbi vada bene questa storia?

Gigi - Certo. La trovo molto romantica: sfuggire al potere, calpestato per aver inseguito le proprie chimere, per trovar posto su una nave di ventura come cuoco e ... ma cos’altro facevi sulla nave, non l’ho mica capito, sai?

Cippa - Lascia fare, ormai...
“Questa malfortuna del quasi-concepimento, unita al fatto che da tre giorni regnava una totale bonaccia di vento solare e che al capitan Fusibile era anche andato marcito il suo pistacchio preferito, convinsero la ciurma tutta che Cippa era diventato un Giona, un uccello del malagurio, e si apprestarono a punirlo (nel solito modo, ma tanto ormai Cippa aveva anche iniziato a prenderci gusto), e poi lo scaricarono a pedate nel coccige giù fino all’aride e steppose distese di Marte. Ivi Cippa realizzò che la sua vita era andata sprecata: doveva ritornare alle sane vecchie abiitudini di esser lui ad inseguire le sue Chimere, e non loro a pestarglielo nel cvlo. Un po’ per cambiare e svagarsi di più, un po’ perché da due annetti buoni non riusciva più a star seduto. Mentre era immerso in questi pensieri ecco palesarglisi un fiero gagà, il cavalier Spadapopone, e Cippa, ormai in preda al delirio erotico, lo convince ad andar insieme in cerca di pulzelle, e Spadapopone accetta. Et sequitur, fino al fatale momento della dipartita.
“Ad estremo omaggio sulla sua tomba il fido Nano volle che fosse deposto un vasolino di petunye a ricordo della mamma.”
Gigi - Bravo, ci hai messo anche le petunye. Inoltre, da quando avevi minacciato di tagliar le parti sconcie, temevo tu risultassi volgare. Invece non c’è nella tua vita traccia di perversione e di malizia. Ne sono ammirato!

Cippa - Sei sicuro di non aver mangiato qualcosa di strano?
Gigi - Zitto, finocchiaccio depravato e maleducato! E ascolta in vece la storia di Bitorzolo, del perché si chiama Bitorsolo, del suo nocciolo d’aliva nell’arecchia e della bella mosca Bège:

“Viveva un teNpo, in un paese remoto remoto, uno stagnino di nome Trapàno. Costui stagnino (cioè esso) era vessato notteddì dalle richieste sessuali e monetarie di dieci mogli incolori che aveva vinte in una corsa di grattugie. Il poveruomo non sapendo più a che santo votarsi per avere un attimo di respiro si era costretto a svolgere dei turni giornalieri. Lunedì rigirava intorno alla moglie Ellittica, Martedì giaceva sull’ Ascissa, Mercoledì invece era la volta di Elettrica. Giovedì doveva sopportare il pessimo carattere di Tribola mentre Venerdì si svagava con le forme armoniose di Butirra, Sabato gli toccava di intrattenere Pubblica e infine la Domenica si riposava con l’apatica Statica. Ciò gli lasciava però tre mogli scoperte, nella fattispece Lustra, Dodicesima e Carlo (quest’ultima non s’è mai saputo poi se fosse o meno un uomo mascherato da moglie, ma andiam oltre), e lo stagnino aveva fatto domanda al Re del suo paese, un vecchio di nome Moto, di istituire in via del tutto speciale tre nuovi giorni al calendario. “Ipse dixit, il buon Re Moto accolse di buon grado le richieste dello stagnino, e come per incanto ecco apparir sul calendario tre nuovi giorni: Sestante, Quadante e Pedante. Tre giorni, dicevo Cippa, in più che tramutarono il vecchio e borioso anno di 300 giorni (perché su quel pianeta l’anno durava 300 giorni) in un bellissimo e palindromo anno di 303 giorni.”

Ma mi ascolti o guardi ancora la coda di quel Burropante?

Cippa - Ti ascolto, Ministro della Guerra, ma guardo anche la variopinta copa di quel Burropante. Indi sequitur, e non mi tediare assai.
Gigi - Per questo ti batterò appena avrò finito il racconto, e fortissimo anche. Ora proseguo:
“Il povero e tisico stagnino però ebbe da obbiettare alla grandezza del re. Come spesso succede il volgo è ignorante e ingrato e non riesce proprio a dimostrare un minimo di gratitudine ai suoi regnanti naturali. Nella fattispecie lo stagnino Trapàno si lamentava del fatto che 3 soli giorni all’anno eran troppo pochi. Lui ne voleva tre alla settimana, per quadrare i conti. Proposta risibile, ma si sa: i re son buoni per natura anche verso le persone più meschine come i tangheracci del popolo e anche in quel frangente il buon re Dingo non si tirò indietro e dette prova della sua magnanimità. E come per incanto d’ecco che comparvero tre nuove forche nel cortile del castello, forche alle quali il pronto e buon re Lupone fece appendere per il collo le tre sventurate in eccesso.

“Va da sè che il povero stagnino Trapàno anche stavolta non riuscì proprio ad esser grato alla lungimiranza e alla pietà del re e per contro se la prese assai, versando male parole all’indirizzo della classe dirigente e venendo allontanato di malagrazia dagli armigeri prestamente accorsi coi randelli. Insomma, il tapino se ne tornò a casa insoddisfatto e con tre mogli di meno, ma deciso a far pagare al re quello che lui riteneva un torto subìto. Il re invece passò la sera a mangiare lvpini in salsa agrodolce e cane in salmì, pensò per un paio di minutini alla mancanza di gratitudine del suo popolo, indi per cui si addormentò di schianto e affatto vestito sul tavolino regale sempre imbandito.
“Durante quella notte fatale il neGro Trapàno escogitò un piano per poter usare a suo pro trà frò, scusate, dicevo scogitò un piano per usare a suo vantaggio i tre giorni in più e, tramite questi, ferire mortalmente il re nella sua persona regale e vendicare così la morte delle tre amate mogli. Escogitato poi il piano giusto si mise di buona lena a preparare la Bomba Anarchica Autarchica e a cercare il giorno Fausto all’esplosione del re Carambola. Nell’almanaccare con gli alambicchi gli esplose disgraziatamente una moglie -hèlas- e nell’alambiccarsi sull’almanacco per studiare il Giorno Fausto altre due mogli perirono di stenti perché si scordò di oliarle. Una settimana intera di triboli e fatiche vennero però ripagate dal successo e la Bomba Anarchica Autarchica fu finalmente pronta. Anche il giorno Fausto era vicino: l’attentazione si sarebbe dunque tenuta a Quadrante, fra Senstante e Pedante. Prorpio in questo giorno nuovo e non previsto nei turni di guardia dei regi armigeri il re sarebbe stato al massimo della vulnerabilità. Soddisfatto, Trapàno si addormentò.
“Avvenne però che un bella mosca, di nome Giallo, trovavasi appassare proprio nella casa di Trapàno e proprio nel momento in cui questo, stremato dalla fatica, si addormentò.”

Cippa - La mosca Bège!
Gigi - Cane Infedele! Ho detto Giallo! Sei daltonico?
Cippa - No, ma mi credeva...
Gigi - Non devi credere. Solo ascoltare e in silenzio religioso!
Cippa - Veramente, quando religio sovente urlo.
Gigi - Non me ne cale nè tanto nè poco, in verità. Ora rassittati e senti il seguito, prima che mi decida nell’usarti violenza. Dunque:

“La mosca Giallo si posò proprio sulla Bomba Anarchica Autarchica ad iniziò a magnificarsi del suo splendido colore (della mosca, quindi suo proprio, non della bomba che era di un verdelimone di assai pessimo gusto). Tutto questo frullì e frullà svegliò del tutto la povera Bomba assopita, che si lanciò subito in una diesamina del pensiero borghese autoritario e decise che per contro l’anarchismo individuale aveva da essere in via definitiva povero e proletario. La mosca Giallo continuava a magnificarsi del suo colore (suo proprio eccetera). Trapàno dormiva di un sonno sì profondo che tutto questo frullì e frullà non lo turbò minimamente, ma si mise a sognare del proleta­rismo astratto, identificandolo con la persona di Faustocoppi che rincorreva (bicimunito) il borghesismo autoritario, nella persona di Ginobartali. La Bomba Autarchiaca nel frattempo aveva continuato il suo ragionamento arrivando a sostenere che comunque, quando il borghesismo fosse stato sconfitto, la ridistribuzione delle risorse avrebbe finito per tramutare il proletariato in nuova borghesia diffusa e socialmente dispersiva, annacquando la lotta di classe. A tal pro l’autarchismo mate­riale sarebbe stata degna risposta al borghesismo proletario, ma avrebbe per contro potuto portare a nuove differenze di classe. Si chiese dunque se l’essenza stessa della lotta di classe non fosse altro che diventar borghesi e passar dall’altra parte della barricata per aspettar d’esser disarcionati dai nuovi proletari (ma bisogna dire a onor di cronaca che quest’ipotesi non fu presa poi molto in considerazione dalla Bomba: era solo così per ragionarci un po’ su). La mosca Giallo continuava a magnificarsi del suo colore (suo proprio). Il povero Trapàno per contro non fu affatto turbato da questo frullì e frullà di classe e continuò a sognare, solo che stavolta Faustocoppi aveva supe­ra­to Ginobartali e lo irrideva col gesto dell’ombrello mentre fuggiva sulle asperità della cima omonima (cioè la cima Aspe­ri­tà non la cima Coppi). La Bomba Anarchica continuò il ragionamento tutta la notte, finché ad un certo punto non risolse che come individuo all’interno di una lotta di classe e come bomba all’interno del vasto mondo immateriale aveva l’unico scopo d’esplodere giusto in faccia al re Cane (ciò è conosciuto dagli esperti del ramo, come me, come “procedimento d’innesco” di un ordigno). A tal punto la mosca Giallo, che per appartenenza alla classe naturale e per colore era filomonarchica, ebbe grande spavento per la sorte del suo buon re e decise di far di tutto per metterlo all’avverta. Ronzò via indi proprio nel momento in cui Trapàno sognava Faustocoppi che prendeva a pe­date un ometto che diceva continuamente miconsènta e si dires­se verso il castello-dirigibile del re.”

Gigi - Ti piace finora?
Cippa - Non saprei che dire. Non vedo come tutto questo c’entri con Bitòrsolo e col nocciolo d’aliva.
Gigi - Ora te lo spiego:

“Avvenne dunque che la mosca Giallo cercasse in ogni modo di svegliare il re Trombone, ma nonostante ella mettesse ogni studio nell’esser rumorosa e cercasse con ogni energia residua di far ruzzolare il letto al santo re, il regal sonno era così profondo che nulla e niente riiuscì a smuoverlo. Presa dalla disperazione, e consia che il giorno Fausto si andava vieppiù avvicinando (e che la Bomba AA era già innescata), decise di ferire il re col suo pungolo per drizzarlo sulla materassa. Detto fatto: appena Giallo pungolò il re ecco che la maestà sua si drizza in sul letto garrendo bestemmie e vergando di arabeschi e arazzi l’aere con le manine feroci. La mosca Giallo in tutto questo bailamme fu arrestata e condotta nelle segrete dal capo delle guardie, prontamente accorso a salvare il suo padrone.
“La povera mosca Giallo passò una notte in guardina a cercare scampo e per sè e per il suo re, conscia del fatto che il giorno dopo avrebbe affrontato il processo presieduto proprio dal sovrano: era giocoforza trovare un escamotage per farsi credere e piripì e piripà.
“Venne infine l’ora del processo e la povera mosca Giallo fu condotta in ceppi di fronte al re Tonante. Fatto sta che data la natura altamente indemocratica e viziata del re Toro il processo risultasse in fin dei conti una specie di parata di parrucconi vari, col re che trangugiava lvpini ed emetteva sentenze (nel numero di nove, carta) su ogni cosa gli passasse pel capo. La mosca Giallo non fu neppure ascoltata per tutte le prime due ore di seduta. Ma nel frattempo il re trovò giusto condannare l’avvocato difensore della mosca, ritirarsi per deliberare, deliberare, rientrare a nutrirsi di lvpini con più foga che pria, condannare tre servi che passavano di lì a correre nudi inseguiti dai lupi inferociti a bella posta, emanare un editto che vietava la parola “scafandro”, tirare l’orecchio al Primo Ministro e santificare un paio di mutande. Fatto ciò si dichiarò assai stanco e tra i plausi aggiornò la seduta. In questo momento la mosca Giallo colse l’occasione al balzo e fuggì dalle grinfie del Capo delle Guardie con un ronzio ed un belato. Subito si scatenò l’inferno: grida d’allarme, d’aita, d’attentato et sequitur. Il re deliberò in fretta e furia nelle mutande santificate (causa il forte spavento) e corse a cercare protezione nella pentola di alive che bolliva in cucina. La mosca Giallo lo seguì, assai risoluta a metter d’avverta il re sulla sua infausta sòrte ancorché a scapito della sua vita: tanto era in lei l’ardore reazionario e monarchico che a me mi viene la commozione solo a parlarne. ce ne fossero, di mosche Giallo per noi regnanti, invece di tutti questi cicisbei scioperati come te, mio Cippa.”

Cippa - Ma io farei lo stesso per te, mio Faraone!
Gigi - Non ci credo. Comunque:

“A questo punto della storia il bailamme è grande: il gran ciambellano corre dietro il re per vedere dov s’è cacciato, la mosca Giallo corre dietro il gran ciambellano per trovare il Re e metterlo d’avverta sulla bomba, le guardie regie corrono dietro la mosca per arrestarla, il re da parte sua sta scavando sul fondo della pentola d’alive giù nelle cucine. Dopo una trentina buona di minuti di inseguimenti vani, durante i quali il re continuava a scavare senza sosta nella pentola, il gran ciambellano svenne per la fatica, e la mosca Giallo si ritrovò ora ad esser inseguita dalle guardie, ora ad inseguire la cuoca Maragosta, or’ancora a girare in tondo per le volute e i ghiribizzosi corridoi del castello (che era stato costruito secondo le bizze del re e quindi era già tanto se stava in piedi, figurarsi avere una logica nella disposizione delle stanze), dopo questa trentina di minuti insomma la mosca Giallo si trovò come d’incanto, ma non era stato un incanto ovviamente, si fa per dire di un evento bizzarro e casuale, si trovò come d’incanto nella stanza delle Salsine da Colazione. Era codesta stanza una specie di ogiva scavata nel muro contenente le salse di cui il re Nutria andava più ghiotto per la colazione (che di solito consumava tra le undici e le quattro): Caramello Tonnè, Potpurrì d’Asparagi e Acciughe, Mousse d’Eleganza e una strana cremina color ocra fatta di Senape, Zenzero e Capperi. Sentendo oramai dietro di sè i passi affrettati delle guardie regie e vistasi in trappola, la mosca Giallo risolse d’aver scampo nel tuffarsi in uno dei barattoli di salsa ed ivi rimaner celata finché non avrebbe trovato un piano migliore. Così fece, si inzuppò animeccorpo in un vasetto e lì rimase per quasi tre secondi, prima che una mano d’armigero guantata di ferro e rozzezza la traesse dal suo rifugio. Ma ecco il miracolo -cioè il miracolo della cretineria dell’uomo-: la guardia, aprendo la mano, vi trovò una moschina colo Bège, che era la mosca Giallo cosparsa di Senape. Ovviamente, dato che era solo una guardia e i suoi circuiti venivano alimentati non da carbone ma da vilissimo legno di balsa, non la riconobbe e le chiese se per caso avesse visto una mosca color Giallo, che andava in giro attentando alla vita dei sovrani e delle sue concubine nel numero di tre. La mosca Bège lìpperlì non capì, ma fece buon viso a cattivo giuoco e rispose che aveva visto la mosca Giallo andare verso il nascondiglio del re, risoluta all’ucciderlo. Ecco che gli armigeri partono con l’alabarde in spalla alla volta del re pentolato che credono in serio pericolo, e la mosca Bège dietro come rena.”

Cippa - Rena?
Gigi - Chétati.

“Rena. Con codesto stratagemma, per altro nonvoluto, la mosca -oramai- Bège si ritrovò al cospetto del Re Morchia, in tutto il suo regale aspetto. Appena finirono di tirarlo fuori dalla pentola, d’alive, ovvio. Il Re Fischia stava dritto difronte alla mosca come se lo avessero in qualche modo irrobustito mediante l’inserimento di qualcosa di rigido -ora mi viene a mente solo un manico di scopa come esempio- in uno dei suoi più sacri anfratti. Tutto tuonante e ricoperto di sugo d’alive e terrore regale e eroico il Re Drupi tuonò così all’indirizzo della mosca Bège: “Aaaaaaaagh!”. E poi, in un impeto di lucidità veramente ammirevole: “Sei quell’ovvida mosca che mi voleva morto! Io ti riconosco!”. Ma la mosca Bège fu più lesta degli armigeri, ancora frastornati da tutto quel superlavoro, e disse: “No mio amato monarca. Son la povera mosca Giallo, anzi lo ero, perché ora grazie alla proprietà transitiva della senape son diventata la mosca Bège. E vengo a farti avverta e salva d’un grave pericolo che tu corri!”. E detto fatto iniziò a snocciolare al regio tutta la storia della bomba A-A, cosa che io adesso non faccio perché sarebbe una ridondanza e io, caro Cippa, odio le ridondanze come tu ben sai. Amo invece i parossismi, ma ne parleremo sequitur. Indi: il re appreso il pericolo che si stava per materializzarsi -orrore- proprio in quel giorno (cioè daummomentallaltro), gridò di spavento, si lasciò andare ad un pianto molto virile, maledisse il mondo crudele e una paio di santi e poi, preso un bastone, iniziò a battere tutti coloro che riteneva responsabili della sua tragica situazione. Battè i servi, gli armigeri, le concubine e la mosca Bège. Battè una sedia, un tappeto, la fiacca, il ferro finch’era caldo -poi smise perché si raffreddò-. Infine battè in ritirata, assai sbattuto, sbattendo contro il battente del battistero e preparò un battuto da mettere in una botte battente bandiera da battaglia, facendo arenare il bastimento sulla battigia. Scusate mi è presa un po’ la mano, ma dovevate vedere quanto la prese al re. Calmatosi, ascoltò cos’aveva da dire la mosca Bège a sua volta, la quale (la mosca, non la volta) aveva escogitato un piano a dir poco sagace per aver salva la vita del re e la sua stessa. Ma non disvelerò subito il piano, per mantenere alta la suspàns.
“Dirò in vece cosa stava architettando in quel frangente la superba bonba autarchicanarchica. La suddetta bomba aveva lasciato la casa del buon falegname Trapàno, che a causa di un suo difetto nella cuspide del cranio, non si ricordava le cose da notte a dì. Ciò sta a significare che il giorno dopo la costruzione della mostruosa bomba il buon Trapàno si era svegliato con una sensazione di aver corso tutta la notte in bicicletta e, del tutto dimentico dei propositi di vendetta e della costruzione stessa della bomba, andò a prepararsi un caffè corretto al cavolo nero. La bomba non si accorse neppure di esser stata ignorata così dal suo costruttore, essendosi ormai già innescata dassè, e prese la via del castello con un ribollire e un gorgogliare di bollicine. Questo ribollìo e gorgoliame era causato dal fatto che Trapàno, grande falegname ma pessimo bonbarolo, aveva dimenticato la macchina del caffè dentro lo scafandro della boNba assassina. Va da sè che non appena Trapàno si accorse della mancanza della macchina del caffè (con gran seccatura), iniziò a pensare a dove l’aveva messa. E pensa lui che penso io piano piano gli ritornò alla mente che la sera prima aveva costruito un qualcosa di scafandrato e che probabilmente anzichenò aveva dimenticato l’utensile prodigioso, ricordo della sua amata suocera Genitrificante, all’interno dell’aggeggio. Partì allora alla rincora della bomba, che nel frattempo aveva percorsa assai strada e la raggiunse proprio sul ponte-lavatoio del castello, dove decine di donzellette imberbi (meno male, direi) lavavano i panni alle fresche acque del fossato del castello, impestato di caimani. Alle grida d’arresta e di intimata resa del maltolto (la caffettiera infame) la bomba autarchica non fece nè a nè ba e continuò per la sua missione come se niente fosse. Giunse allora alla porta del castello un simpatico carosello, formato in primis dalla bomba, che con eloquio ricercato e forbito si presentò alla guardia come l’arcivescovo di Agguato, venuto a parlare col re di problemi di esplosioni mortali e ad aiutarlo a rendere l’anima a dio o al diavolaccio, come più lo aggradava. A seguire stava il falegname Zùfolo che andava vessando di maleparole la bomba e gridava a più non posso frasi sconnesse a proposito d’una caffettiera e della madre del Santissimo. Dietro di lui stava un codazzo di lavatrici (donne) e lavatrici (elettrodomestici), attirate le une dalla potente carica erotica dell’infuriato Trapàno, le altre dalla inesorabile carica magnetica della bomba anarchica. Dietro di loro infine il cane Botolo che stava ferocemente attaccato al polpaccio di un prete che stava a sua volta ferocemente attaccato alla sottana d’una lavatrice (donna), ringhiando e sbavando all’unisono col cane. Insomma, il circo dei balordi al gran completo. la guardia però, poco intelligente come tutte le guardie (nessuna esclusa, chi fosse guardia e stesse leggendo non si senta offeso, tanto di questo ragionamento non ci avrà capito nulla. Per forza, è guardia.) ma di contro pedissequa (come tutte le guardie, che sono di norma ancor più pedisseque che deficitarie d’ingegno ed è tutto dire) trovò che non si poteva lasciar un arcivescovado al di fuori del cancello, e lo fece accomodare. Trapàno riuscì a sgattaiolare dentro facendosi passare per il bastone pastorale, ma il restante codazzo fu scacciato a colpi di spingarda e molti morti e contusi rimasero sul ponte. Il capoposto venne informato delle intenzioni del vescovo di vedere il re eccetere e trovò il tutto assai sensato, cosa che dimostra che di norma nei divisamuniti l’esser frastornati nel capire è cosa direttamente proporzionale alla posizione gerarchica che si ha. Ma queste cose Cippa le sai meglio di me, te che sei il generale dei cretini. Ordunque, la bomba anarchica venne introdotta al cospetto del re. Non appena la bonba entrò nelle stanze regie e vide il re, comodamente assiso sul suo trono, proferì verba il tel guisa: ‘Santo re, d’ora in avanti chi ti vorrà vedere lo farà solo sulle banconote da venti Lalleri’ e detto ciò, splose.”

nota del traduttore: per creare ancora più saspens l’autore ha qui introdotto un vaniloquio sperticato sulla differenza che intercorre tra le banconote da venti Lalleri e quelle da dieci. non contento ha usato tre pagine intere per spiegare l’ordinamento monetario imposto dal Re Moto, che suddivide per maggior semplicità di conto l’unità monetaria nazionale, il Lallero, in dodici Lilleri, i Lilleri in trentatrè Larillalleri e il Larillallero ancora in sette Lalleri. Così che quando si chiede il pagamento d’un lallero non si sa mai se s’intende un Lallero-unità monetaria o un Lallero duemilasettecentosettantaduesimo di unità monetaria. Questo sistema ingiusto e sgarbato ha prodotto nel regno del Re Moto più risse e ingiunzioni penali in un anno che l’abuso d’alcool nelle bettole in tre lustri ed ha causato più morti e feriti dalla sua introduzione delle due Guerre Dei Cicisbei messe insieme. Ma andiamo avanti

Gigi - “Allora, s’era arrivati al punto che la bomba esplode e disintegra il re. Il buon Trapàno, investito anch’esso dall’esplosione, viene scaraventato contro una parete e perde le due gambe, le quattro braccia e l’accendisigari nell’impatto. C’è un gran bailamme, tutti s’affrettano, nell’esplosione oltre al re han trovato la morte tre ciambellani, due guardie e la pentola d’alive che ha schizzato il suo contenuto in ogni dove, mitragliando il popolo e il paese. Ma in questo granbakkano ecco che arriva la mosca bège sana e intatta e svela l’arcano, tranquillizzando i moribondi: il re è salvo.
“Vedo sul tuo viso un’espressione di stupore, come a dire ‘ma com’ha fatto?’, ed io sarei tentato di non raccontartelo per ispregio, ma andrò avanti per rispetto a quel vecchio satiro che ci sta spiando da dietro il cespuglio e che di sicuro resta lì per saper come va a finire questa storia, dato che qui di fanciulle nude non v’è traccia alcuna, o ne avrei avuto sentore. Ecco dunque l’arcano: il buon re all’ultimo momento s’era travestito da capo delle guardie e il capo delle guardie da re. E nella deflagrazione il capo delle guardie era morto stecchito e il buon re invece aveva soltanto riportato una forte contusione. Una volta visitato dal cerusico si seppe che il re versava in ottime condi­zio­ni, ancorché fosse svenuto per lo spavento, come gli ca­pi­ta­va quasi ogni dì in verità, ma che una ferita assai subdola si era formata nella sua persona. Un minuscolo nocciolo d’aliva, scagliato a tutta gargana dalla deflagrazione potente della bomba, si era incastonato all’interno del suo orecchio, ledendo in via definitiva il centro della memoria del buon re. Al risveglio del monarca, infatti, il Re Moto non ricordava niente di sè. Nè il nome, nè il suo ruolo di re, nè della bomba o della mosca bège. C’è da dire, a onor del vero, che tutti i dignitari non fecero nulla per rammentare al re il suo diritto di monarca. Da principio fecero i nesci, gli gnorri e gli indiani. fecero finta di nulla per vedere se il re simulava e si burlava di loro solo per tagliar qualche testa, ma poi accortisi che il re davvero non ricordava chi fosse presero l’occasione al balzo per liberarsi di quel villano capriccioso e lo cacciarono a pedate dal palazzo regale, dando il via ad una lotta per la successione che si consumò tra faide e banchetti di cui tutt’oggi non v’è memoria. Il buon re allora s’allontanò dal palazzo e prese a viaggiare pei mondi, sempre seguito dalla mosca Bège che lo adorava nonostante lui non si ricordasse più del Commodoro ch’era stato. E questa è la storia del capitan Bitorsolo, ghiotto di pistacchi, accompagnato da una mosca che non lo lascia un secondo, ma che lui istintivamente odia perché un barlume di memoria da qualche parte gli deve far ricordare ch’essa è stata per lui causa d’una qualche catastrofe che il tapino non riesce meglio a precisare.”

Cippa - Vuoi dire che il capitan Bitorsolo è il Re Moto?
Gigi - Lo voglio dire e lo dico, perbacco! E la povera mosca bege continua a seguitarlo nella speranza che un giorno lui ritrovi la memoria e ritorni trionfante a palazzo e la impalmi regina. Ah, sogno romantico e intriso di devozione filomonarchica che però mai s’avrà a realizzare perché il povero Bitorsolo è morto schiantato qualche minuto fa. Guarda te a volte i casi della vita.
Cippa - Sopravvivere ad un attentato e una congiura di palazzo, per finir morto così da due delinquenti.
Gigi - Già. Speriamo che li bracchino e li arrestino, quei malvagii, di sicuro gente di pelo rosso, che come tutti sanno porta il germe della follia dentro e fòri di sè.
Cippa - Ma ora che si fa, mio Marte Guerrafondaio?
Gigi - Ora mi dovresti narrare la vita di Zorp, ma non v’è tempo. Tanto più che ora come ora si deve portar quel trogolo a spassarsela con al liscia e invitante Alto. Chissà perché non le ho usato violenza quando potevo?
Cippa - perché te sei un animo nobile, Dolcezza.
Gigi - Quanto hai ragione.
Cippa - Ed è per quetso che mi piaci. Ma ora ti prego, andiamo via da sciampoo, perché sto diventando sempre più ambiguo.
Gigi - Vieni, Cippa, andiamo a ricompensare quel ribaldo di Zorp, e poi ti mostrerò come si viaggia dalle mie parti.

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