15.6.08

Capitolo Nono,

Intermezzo con i negri. Poi, il ritorno da Zorp con relativo recupero, indi del ritorno su Marte nascosti all’interno di un sillogismo. Ritorno che si tramuta in tragedia, perché i due Santi sbagliano conclusione a causa di una premessa opinabile e si trovano su Silicone, nel bel mezzo della guerra coi Gagaroni. Indi, secondo intermezzo, senza negri stavolta ma con la Cronaca di Guerra e una scorza di limone.

I due paraninfi si portano dunque nella direzione del sovrano santo e per nulla incattivito dalla reclusione forzata che vaga nell’aere sotto il nome di Zorp. L’ho presa un po’ ariosa, scusate, ma è Giovedì. E io i Giovedì non li sopporto, quindi questo capitolo verrà malissimo, tanto vale passare immantinente a quando, dopo appena un centinajo di passi, ai due nettapipe appare una sconvolgente apparizzione. Una lunga fila di entità umane nonmeccaniche (se si escludono le ciabatte a vapore) sta passando da una collina all’altra cantando a squarciagola e ondeggiando come un serpente.

Gigi - Fido Nano atomico, vedi un po’ te. Cosa ti sembrano quelle persone canterine, coi labbroni pronunziati e colla pelle scura?
Cippa - Mi sembra una bella fila di negri, mio Candido.
Gigi - Allora non avevo veruno errore. Ora ti fo vedere cosa fa un cavaliere quando si trova innanzi una filza di negri.
Cippa - Cosa?

Ma a questo punto Gigi s’è già infilato il casco coloniale e i pantaloni alla zuava ed è corso con piglio spocchioso verso il capofila di quella fila, appunto, di negri (che poi si seppe dopo che eran negri del Congo, cioè della peggior specie).
Cippa scruta solerte e a distanza di sicurezza la discussione animata tra l’EROE coloniale col casco cachi e il ras col casco di banane. Dai gesti che si fanno, Cippa capisce che Gigi sta cercando di convincere il caponegro della superiorità della visone etica neocolonialista e vuole che siano gli stessi negri a pregarlo di farsi portare in lettiga e sventolare con foglie di palma. Per contro, il caponegro, un omone di due metri robusto come una quercia di nome Calimero, sembra assai poco convinto delle idee del Fante di Spade e lo va schiaffeggiando con la manona. Gigi allora inizia la manovra di estrazione della spada per difendere il suo onore e portare la civiltà a quel branco di primitivi, ma la spada non ne vuol sapere di uscire così all’improvviso, senza nemmeno una telefonata di avvertimento, e s’inventa la scusa ch’è sotto la doccia e non può uscire dal fodero tutta nuda. Intanto la marmaglia di antropofagi s’è gettata su Gigi come un sol uomo e lo grandina di cazzotti che rimbombano per chilometri. Qualche disonesto gli mòlla pure un colpo di spingarda caricata a sale nelle natiche. Gigi a questo punto vorrebbe irrompere in una ritirata strategica e chiama a gran voce il nano Cippa perché l’aiuti, ma questi gli manda a dire che anche lui è sotto la doccia e non ha intenzione di uscire tutto nudo. La fila di negri, intanto, s’è stancata le braccia a son di batterlo e si sta allontanando ondeggiando verso l’orizzonte, cantando un motivetto in sette ottavi sincopato e con accenni di cànone sulla squisitezza della Banana Maldiva, la banana radioattiva e sul colore del macacco trasparente. Gigi rifiata e riede alla parca mensa, poi si ferma di fronte a Cippa e proferisce verba:

Gigi - Ora, caro Cippa, spiegami perché non mi hai aiutato quando ne abbisognavo.
Cippa - Avevo paura, mio valoroso Calabrone.
Gigi - Sì, questo lo intesi anch’io... A questo punto non mi resta che una cosa.
Cippa - Battermi?
Gigi - Troppo poco: devo scogitare un sistema di punizioni talmente vergognoso e tremebondo da farti preferire la morte all’onta di affrontarlo.
Cippa - Quando fai così mi preoccupi.
Gigi - Ci penserò. Intanto considera sospese le razioni di caramelle mous.
Cippa - Ancora me la cavo con poco.

Gigi all’improvviso tira fuori da una tasca una tavola con un lungo ciodo inchiodato sopra e la bàtte con violenza finora inaudita sul deretano di Cippa. Il quale nano, sentendo un dolore che finora gli avevano provocato solo i camerati della sua vecchia nave, urla come una sirena da nebbia ed inizia una folle corsa verso la duna più lontana, arzizigogolando a destremmanca a seconda degli spasmi di dolore che la maledetta tavola, ancora uncinata col suo dente di ferro alla chiappa destra, gli provoca. Gigi segue la traiettoria con vezzosi gesti della mano ed una cuspide (?) soddisfatta sul cipiglio.
Con questo sistema, ripetuto setteotto volte, i due eroi giungono infine nelle vicinanze del sopracitato Zorp che, impaziente com’ogni sovrano, sta tirando accidenti all’indirizzo del Cavaliere (non quello pelato, intendevo Gigi) da venti minutini buoni.


Cippa - Oddiomio, che dolore alle natiche, Santissimo. Che ricordi...
Gigi - Per ora piglia queste, marrano, e non ti lamentare. Che mi sa che prima della fine del romanzo t’avrò tirato via anche le unghie.
Zorp - Alla buon ora, maledetti cretini! Ce l’avete fatta a trovare la valigetta? Il piano ha ben funzionato? Via, via! Fatemi accoppiare!
Gigi - Oè, ma allora? Ma non v’è dunque una lira di decoro in tutta questa storia? Che è? E che c’è? E chi?
Zorp - Alto. C’è che non è ancora qui, igniuda e pronta alle mie lubriche voglie. Ecco che c’è, cavaliere del piffero.
Gigi - Ah, già, ora ricordo... Bòn, non sei andato a cercarla?
Zorp - Andato? Cercarla? Ma se nemmeno so com’è fatta, marrano!
Gigi - Che peccato, ci dev’esser stato un misanderstundins, come dicano gli svizzeri. Vorrà dire che ti si farà accoppiare la volta prossima.
Zorp - Ti s’è incrinato il quadrante del senno, cavaliere? Che discorsi son questi? Io ho dato la mia mano, ora dammi la mia bella vergine!
Gigi - Sì, sì, eccola colà. (ed indica colà).

Il Sultanissimo Zorp si gira di scatto, facendo anche un po’ la figura del babbaleo, ma si sa... l’amore è tale che quando viene, il cervello s’inchina. Che perifrasi elegante per un concetto così triviale, in effetti... come unque Gigi Ratto come il Topo lo afferra tosto e lo caccia con le cattive dentro la padella a pressione.
Per chi fosse curioso di sapere la reazione di Zorp, mi scriva e gliela recapiterò privatamente, dato che ho già avuto le mie noie col Vaticano quando fui scomunicato per quella faccenda dell’acquasantiera. Ma proxit.

Cippa - Non vorrei essere io a tirarlo fuori di là, la prossima volta. Sa Iddio santo (e si segna) quant’è invelenito.
Gigi - Già, ma... aspetta, che fai, ti segni?
Cippa - Sì. In onore del nostro Santo Salvatore.
Gigi - Ma non eri blasfemo e vigliacco, facista e anche un po’ finocchio? Come fai ad esser prete adesso?
Cippa - perché, qualcosa che hai detto è discordante?
Gigi - ... no, in effetti torna. Via, però, andiamo, che adesso si deve tornare all’Owwowwia per riedere dal santo Leo, che nel frattempo è assai ingrassato e ascolta Faust’ò.

I due Calamari sfrecciano di pedina verso gli ameni lidi frequentati da Preti e Prelati, Re e Rei, etc etc, allo scopo di utilizzare l’ovovia. Giunti ivi, però, una sorpresa li sorprende. L’ovovia è sorvegliata da decine e decine, forse anche milioni di robopolizziotti inferociti che, per puro accidente della fortuna non li scorgano da lungi. I due Catamarani, allora, vista la mala parata, s’ascondano ai pressi d’una roccia. Cippa - Eccoci. Siam perduti. Lo sapevo che non si poteva farla franca. Mi mancava anche il costume adatto.
Gigi - Per cosa.
Cippa - Per far la Franca. Cuomeunque sia, con tutti quei cuoricini non starei bene.
Gigi - Oh, ma tu stai benissimo coi cuoricini, Cippa.
Cippa - Dici davvero, mio Sodale?
Gigi - Sodale a chi, manovale? Sodale a te sarà qualche lesina della tua schiatta. Comunque non tutto è perduto, mio sottoposto (scusa, non volevo fare riferimento alla tua altezza). Abbiamo la valigetta, e siamo ancora vivi e liberi. E guarda un po’, una bella fanciulla tutta sola siede lì al bar.
Cippa - Che c’entra?
Gigi - Nulla, ma intanto che metto a segno il mio piano si può anche andare a infastidire quella pulzella. Vieni meco.
Essi si avvicinano dunque al barr, si siedono ad uno sgabello, chiedono il conto. Gli viene portato. Gigi inizia a scribacchiare dietro allo scontrino tutto preso, mentre Cippa va all’abbordaggio.
Cippa - Ciao, bella giovenca. Mi stavo chiedendo...
Pulzella - Toh, un trojajo. E parla anche. Che vuoi? Come m’hai chiamata?
Gigi alza un poco la testa, disgustato, la riabbassa sul foglio e, continuando a scrivere, si commuove e decide di soccorrere Cippa.
Gigi - Il mio aiutante di campo voleva dire che lei è una perla rara, miss...

Pulzella - Oh. Che carino... allora era un complimento?
Cippa - (vieppiù esagitato) Sì, sì! Non sei per nulla sciatta. Non come quella capra, comunque!
Gigi - Il fiero aiutante, che fu colpito da una palla di biliardo durante la pausa della battaglia di Rantolo, voleva dire che un giglio come lei fa apparire squallido sassobardasso ogni altra donna che Egli ha conosciuto.
Pulzella - Oh... sa, io sono così carina perché faccio finta d’essere svampita, per mascherare il fatto che sono svampita davvero.
Gigi - (interessandosi) Ah. E funziona?
Pulzella - Oh... col mio ciccino ha funzionato.
Gigi - Ciccino?
Pulzella - Sì, il mio amorino dolce-dolce. (N.D.A.: spero che il lettore quantomeno apprezzi gli sforzi che faccio per scrivere simili melensaggini insulse, cosa che mi causa tra l’altro forti dolori al fegato). Il mio zuccherino mieloso.
Gigi - Oddio... e come si chiama il fortunato?
Pulzella - Oh... prima di mettersi a pane con me si chiamava Zoticone II, ma ora è cambiato tanto e si fa chiamare Giuggiolo.
Cippa - (a Gigi) Ti prego. Portami via da qui.
Nel frammentre ecco che arriva uno-uomone barbebbaffi, nerboruto, ruttante, muscolare e canottamunito. Ei (colui) si siede accanto alla pulzella, la cinge, rutta, le pacca il didietro, le strizza le tette e inizia a sproloquiare tutto dolcino dolcino nelle di lei orecchie, allo scopo malnascosto di suscitare nell’esemplare femminile sentimenti lieti che possano portare a rendere più accessibili le sue tvbe.

Gigi - È colui Giuggiolo? Ehhh... si vede che è amore. D’altra parte quando due animi son fatti lunperlaltro...
Pulzella - Macché. Fino a ierlaltro lo odiavo peggio della diarrea.
Cippa - Ma allora...
Gigi - Ma cosa...
Pulzella - Oh... poi esso una sera mi lasciò una bottiglia di piscio ribollente sul tavolo di casa, ed io d’istinto l’amai. Ed ora ci amiamo e non siamo affatto ridicoli, credo. Forse.
Gigi - Non ci pensare. Siete ... bellissimi. Ora scusami ma devo cosare il trapano nella valvola. Ci vediamo, eh? In giro. Dopo.

E si allontana con un leggero malditesta.
Cippa - Certe cose mi lasciano sempre un po’ costernato.
Gigi - Te, caro Cippa, è sempre come se tu fossi un po’ costernato. Comunque devo darti ragione... uno spettacolo simile risulta disgustoso anche ai majali.
Cippa - Ne son lieto. Ma mio Fariseo, cosa stavi vergando su quel viglietto? Forse il piano roboante che ci porterà fòr dall’impacci?
Gigi - Apparte fatticàzzitua, stavo scrivendo alla mia amata zia Poldo.
Cippa - Tua zia si chiama Poldo? E cosa le stavi scrivendo?
Gigi - Di spedirmi velocemente la macchina da sillogismi che le lasciai orellanno sul davanzale per farla raffreddare.
Cippa - Anch’io mi son raffreddato, una volta, sporgendomi dal davanzale. Fòri c’era tutta una cosa come una tempesta, vedi, e poi un vento che...
Gigi - Cippa, mio aduso mòzzo, falla finita immediatamente. Non credo di avere ulteriore pazienza. In questo capitolo ho già preso le botte da un gregge di negri, ho avuto a che ridire con Zorp, ho trovato l’ovoWia sbarrata e ho parlato con una coppia di stucchini. E poi non v’è tempo per le tue traversie: d’ecco in fatti, ad onor del Vero, senza tema alcuna la mitica Macchina da Sillogismi appena recapitatami da mia zia Poldo.
Cippa - Mi sfugge il come sia arrivata qui, ma va bene uguale.
Gigi - Ora, caro il mio Nano, ti farò vedere come si viaggia con questa màchina.
Cippa - Son tuttocchi.
Gigi - No, te sei cretino, è diverso, ma va bene uguale. Allora: vedi questo cassettino?
Cippa - No. Gigi - Difatti non c’è nessun cassettino. Però c’è un trombone fonografico. Basta dirvi dentro la premessa base ed in men che non si dica la màchina perfetta scodellerà per noi un sillogismo che ci portrà addove vuolsi.
Cippa - Una premessa qualunque?
Gigi - Eh no, cara Mafalda, ci vuole un sillogismo accuso (?). Qualcosa di adatto a portarci su Marte (cane). Ma lasciami lavorare, lasciami... uhmm... credo tra l’altro che quella tipa di cui prima m’abbia fornito uno spunto assai interessante.
Detto ciò, Gigi si mette ad armeggiare con libri e libricini, sestanti e pedanti, tabelle e rondelle, finché esclama un eureka e si avvicina al Tronbone.
Gigi - (urlando dentro al troNbone, perché la macchina della vecchia zia Poldo è un po’ dura d’orecchie) “Il piscio ribollito è metafora galante d’amor cortese.”
La macchina ha come un sussulto, ed ecco sfornar subito il seguito:
Macchina - “L’amar cortese risulta gradevole all’orecchie delle pulzelle.”
Gigi - Evviva! Funziona! Adesso ci si potrà spostare ascosti nelle pieghe della conclusione! Tienti forte, nano, che s’andrà veloce!

Detto ciò, Gigi si piega un po’ a bèba per entrare nella conclusione, che essendo un po’ pigiata risulta strettina, mentre Cippa, con la sua mole, c’entra anche in punta di piedi e cor un cappello a cono. Il sillogismo prosegue nella sua logica implacabile, trovando la via della certezza dalle sue premesse ed arrivando alla conclusione, ovvia, ma portentosa. E quindi anche alla fine del viaggio, lasciando così alle spalle l’atmosfera malsana e un po’ finocchia (non me ne voglia chi arrotola le sistole nel culo, i gusti saranno anche gusti, ma perdìo un po’ di decenza, brutti svergognati!) di Shianpo.

Macchina - “Il piscio ribollito risulta gradevole all’orecchie delle pulzelle.”
Cippa - Allora, ci si muove?
Gigi - Non lo vedi? Siamo già arrivati. Il sillogismo ha fatto il suo corso e la conclusione è arrivata in men che non si dica. D’eccoci alfine, grazie al potere della sillogica, sugli ameni e scoscesi paesaggi di Marte (canaccio).
Cippa - Sarà. Ma ci son due cose che non mi tornano. Uno: come abbiamo fatto a spostarci. Due: se questo posto è Marte io sono Greta Garbo. O volendo Giusi Bracciolini.
Gigi - Fausti Gaudii! Hai ragione (e quanto mi duole doverlo ammettere). Questo è il maledetto Silicone, il fratello gemello (e cattivo) di Sciampo! Ma come mai?
Cippa - Forse c’era qualcosa di sbagliato nel sillogismo, mio Vicario?
Gigi - Può essere... non sono mai stato bravo con questa macchina del piffero! Ch’io sia dannato se la riuserò. Si dovrà trovare un altro sistema per...

In questo mentre una granata scòppia a due passi da Gigi Spadapopone, fiero Soldato, e manda pezzi di saggìna in quà e là.
Cippa - Ahimè, mio Caporale! Siam perduti! Se questo è davvero Sisifone vuol dire che siamo nel belmezzo della guerra coi Gagaroni! E ora?


Come a conferma delle parole allarmate del nano vigliacco, ecco che parte una raffica potente di fucileria a trebbiare l’aria sopra la testa dei due EROI. Che difatti sono atterrati proprio in mezzo allo scontro violento dei due eserciti.
Mentre i due Ardimentosi scavano una buca nel terreno crivellato dalle esplosioni per nascondersi alla furia omicida delle pallottole, salve d’artiglieria vendemmiano il campo. Le scariche di fucileria crepitano sempre di più, si lanciano bombe a mano, colpi di mortajo, móccoli, sputi e minacce di grane legali, e dall’alto delle colline i due generali si spiano guardinghi.


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