17.5.08

Capitolo Palindromo,

Cioè ot-to. A me piacciono molto le parole palindrome, che ci volete fare? Nel quale, essendo un interludio, si andrà lasciando la situazione in sospeso riprendendola vieqquà, e si indagherà in vece sul passato di Gigi e di Cippa e se c’entra anche di Bitorsolo, dato che l’avevo promesso. Ibidem.

I due eroi corrono a perdifiato senza curarsi minimamente della direzione, inseguiti da un paio di cani attratti dalle belle medaglie d’unto che ornano i pantaloni di Cippa. D’un tratto Gigi volta verso l’occaso, addove trovasi Gerusilemme?, scusate questa è un altra cosa. Comunque lo posto più vicino ai due santi è Scaturchiano: trequattromila pertiche nonpiù. Da quella parte insomma si trova Zorp, che attende con ansia crescente e con una libido direi esagerata il momento di deflorare Alto. Nel frammentre di questa fuga-deviazione-esegesi a Gigi viene naturale una domanda:

Gigi - L’estetica, caro Cippa, secondo te, è plastica?
Cippa -
Lo come? Filosofi in mentre che si scappa?

Gigi -
Quale momento migliore di una fuga a perdifiato, con le gambe che sgambettano qua e là, un codazzo di codardi che ci segue e poco tempo per le quisquilie, per ragionar d’un moto sì plastico ed euristico?
Cippa - Quand’hai ragione hai ragione, Dvce. Ma a volte mi sembra che tu rincoglionisca un pò. Dev’essere l’aria malsana di sciampho, con tutte queste bolle d’accompagnamento che non ci lasciano un minuto...
Gigi - Poco m’interessa. Inquit: rispondi, allora!
Cippa -
Mah. Per me sì.
Gigi - Anche per me. Siamo d’accordo pare... ma data la mia indole capricciosa e volitiva, incline alla polemica e alla rissa, ti ingiungo seduta stante di darmi contro, e di farti anche beffe della mia bella persona, allo scopo di risvegliare in me sdegno e malcreata arroganza. Vai, dunque.
Cippa -
Oh, Domine...

Gigi - Quale?
Cippa -
Pensavo al Dio Rassegnato della Galassia Ormai. Vabbè, sia mai che trasgredisca all’ordine: no, secondo me nò. Anzi, l’estetica è assai rigida e impermeabile. E chi non la pensa come me è un marrano e uno stolto.

Gigi -
Ah! E come mai secondo te, che notoriamente di arte e filosofia non capisci nulla, l’estetica che è per sua natura plastica e perifrastica, ludica e lubrica, raggiante e scattante, sarebbe -che sento mai- tetra e atra, rigida e frigida e ermetica-auterotica?

Cippa -
Ma non lo so, sai... perché me lo hai detto te.

Gigi - Ah... se l’ho detto io, una ragione ci dovrà pur essere... di solito non parlo a Vanvera, ma a te, caro Cippa. Anche perché non v’è nessunaltro.
Cippa -
Allora?

Gigi -
Allora mi hai irritato, vigliacco! E ora, per rilassarmi, ci vogliono seduta stante le tre cose che più mi garbano.

Cippa -
Nell’ordine?

Gigi - Una fanciulla, del liquido sbrilluccicoso e un prete da appendere per il collo.
Cippa -
Nisba. Altre tre.

Gigi - Un milione, un giornalino porno e un cane frullì e frullà.
Cippa -
Nisba. Altre tre.

Gigi - Allora vada per un minuto di riposo a Quellalbero, un massaggio ai piedi e una parabola satellitare per vedere le dipartite.
Cippa -
Le partite.

Gigi - No davvero. Quelle sono nojose. Le Dipartite, il gemito, l’ultimo momento, la gente che schiatta in un bòtto. Una volta avevo una parabola così.

I due nel frattempo, dato che nessuno minacciava di inseguirli, e dato anche che in quindici minuti di fuga avranno fatto sì e no millemetri e già gli duole la milza, decidono di fermarsi alle fronde d’un Frasco*. Si fermano. Fanno la buchetta come i cani e vi si sistemano. I due ora son comodi e con la coda fra le gambe non si curan più della fuga: anche gli ardimentosi riposano. Ma non seguite il loro esempio: la pigrizia, come si sa, è nemica eccetera eccetera

Cippa -
Ooooh! Ora sì. Ma che dicevi della parabola?

Gigi -
Ora che siam fermi, per riposarci ti racconterò la mia vita precedente, e tu poi farai altrettanto.

Cippa -
Posso omettere i particolari piccanti?

Gigi -
No. Ora ascolta, ti narrerò della mia vita in forma di parabola religiosa (come si addice alla mia persona) e tu mi narrerai la tua in forma di necrologio da tre soldi.

Cippa -
Ma perché a me sempre le cose peggiori?

Gigi -
perché sei brutto e scemo. Non ho finito. Poi io ti racconterò la vita del capitan Bitorsolo in tre quarti e te invece mi narrerai la vita di zorp citandomi la sua fedina penale. Chiaro?

Gigi -
Ma non la conosco mica la vita di Zorp, amata Puledra.

Gigi -
Nontazzardare maipiù! (e gli lascia andare una randellata nei denti, imprimendogli le venature del legno sulla gota e le buone maniere, o almeno noi tutti speriamo, nel cervello).

Cippa - Ahimè, mio Gerarca! Mi sa che stavolta mi hai rotto qualcosa d’importante.
Gigi -
Per romperti qualcosa d’importante bisognerebbe colpirti sull’orologio. Ma ora taci e ascolta la mia vita parabolica e cattolica:

“Nacqui, lo ricordo ancora, nella notte del Ventitrè Corsivo, il giorno stampato per sbaglio inclinato e...”

Cippa -
Scusa Templare, ma nel calendario non v’è un giorno simile.

Gigi - Uno: nel mio sì. Tanto basta, perché sono come Dio, solo un po’ più basso e biondo. Due: se mi interrompi la favella un’altra volta io ti interrompo la respirazione con un sasso. Ora, ascolta:


“... appena nato i miei genitori, cioè l’arciduca Ferrante Spadapopone del Papero Impennato e un’amante occasionale concupita con la forza e l’arroganza dal mio potente padre, nomata Romanza, mi deposero con cura in una mangiatoia e lì aspettarono che l’astro del cielo mi desse regolare benedizione. Fatto ciò, mi alzai sulle mie gambe e dissi: ‘Tu padre, che mi hai generato vincendo la ritrosìa di questa femmina, sarai assunto nel regno dei cieli. Tu, madre, che tutte le provasti per non concepirmi, che osasti negarti al diritto di nascita del mio padre-duca, bè, te che sei una popolana screanzata, sarà bene che marcisca nelle segrete del castello!’ E così fu, ed ella è ancora là e io spero che ci resti...”


Cippa -
Scusa Vescovo, ma hai fatto rinchiudere tua madre nelle segrete? E appena nato già parlavi?

Gigi - Io sono come Dio. Solo un po’ meno alto e meno negro. Ma ora fammi finire, sennò ti metto un dito nell’occhio buono. Ora:

“... Una volta sistemato l’argomento genitori, uscii sul sagrato di casa mia, entrai nel tempio e -orrore!- lo trovai colmo di mercanti, che i preti si affannavano, con scalzi risultati a gettar fuori. Allora presi in mano la situazione e dissi: ‘Questo è un tempio, non una bottega di pellimorte! Qui non tollero che vi stiano perditempo arroganti e viziati, corrotti e blasfemi, che snaturano l’essenza stessa della chiesa facendo mercimonio d’ogni santità!’, detto fatto, presi la croce e usandola come randello scacciai via tutti i preti dal tempio. Dio li prenda in malagrazia. “Mi recai da lì verso il lago di Basette, ai piedi del monte Pelato. Sulla strada trovai un cieco ed un’adultera che stava per essere lapidata. Allora andai dal cieco e gli dissi: ‘Ora io farò un miracolo. Seguimi e non temere, che ti restituirò la gioia.’ Lo portai dalla donnaccia e lo gettai tra le di lei braccia, un attimo prima che la gragnuola feroce di sassi e massi (e qualche baro tirò anche delle rivoltellate) li investisse e li consegnasse a giusta morte. Mi ricordo ancora quella sua espressione beata di ingenua felicità nel sentire sotto le sue mani vizze i seni rotondi di quella meretrice, subito prima che il sasso che io stesso lanciai tosto gli strappasse un orecchio. Ah, fare il bene corrobora...
“Arrivai dunque al lago, che era nei miei possedimenti. Lì si specchiava la Galassia Invadente, abitata dai fastidiosi ed entranti Gurguglioni. Proprio sotto la statua a A. Lucarelli, che segnò un gol alla reggina, stava un gruppo di pescatori affamati con un pesce in mano. Chiesi loro: ‘Cosa vi affligge, a parte la fame e la povertà di cui, in quanto vostro nobile signore e padrone, non sono assolutamente responsabile?’ E loro dissero: ‘Nel lago non v’è più pesca, signore. E’ rimasto solo questo’. E mi porsero una cesta mezza piena di scarni pescetti. Allora, con gesto magnanimo, dissi: ‘Non vi saranno più pesci, ma vi saranno micini’. E presa la cesta, la frullai in acqua insieme ai due gatti che v’erano entrati incerca di bottino. E mentre i due micini esploravano a pieni polmoni il loro nuovo habitat dissi ai pescatori: ‘Uomini fortunati: presto quei due micini fecondi riempiranno di prole il lago di Basette, e voi potrete gettar le vostre reti e tirare su non più squallide trote ma gustosi e saporiti felini! Ah, quasi vi invidio!’, e mi allontanai inseguito da male parole... te vai a far del bene ai morti di fame!
Tralasciando il momento in cui camminai sulle acque, ché mi pare troppo, si arriva al perché dovetti lasciare il mio paese natìo per giungere su Marte. Ero andato nel deserto vicino alla capitale del mio regno (in realtà è ancora di quella vecchia ciabatta di mio padre), che si chiama Montepapero, a ragionar da solo del più e del meno, quando trovai un uomo di nome Giubba, che per trenta denari mi vendette una boccia di liquido sbrilluccicoso e, dopo lungo trattare, anche un calendario di donne nude e una pedina della dama magica che tuttora conservo. Una volta bevuto il liquido capii che ero stato tentato dal Diavolaccio, e che non sarei più stato santo. Quanto dolore mi portò questa scoperta... riunii gli Apostoli sul monte Bavoso e feci loro la predica del formaggio. Poi partii, costretto dal destino a scialacquare i miei soldi in quà e là, a bere tonnellate di liquido sbrilluccicoso, a giacere con più donne, a farmi ospite indesiderato di eventi mondani, a orinare sulle macchine della polizia, e a presenziare feste e banchetti. E proprio ad una festa stavo andando, giurato designato di un concorso di fagioli buccioni presieduto da tredici ministri del purè, quando t’ho incontrato. Mi chiedo se le ancelline della mostra si sian chieste che fine ho fatto... E questo è tutto. Fra tre giorni il gallo canterà tre volte, te mi rinnegherai tre volte per tre denari e io sarò inchiodato con tre chiodi. Le tre Paole mi piangeranno e io ascenderò al cielo per unirmi nella trinità al Dio che più mi aggrada.”
T’è piaciuta?

Cippa - La trovo un po’ romanzata. Non sono convinto che la tua vita sia stata davvero così... inoltre mi sa che potremmo prenderci anche qualche querela. Infine non hai detto com’è che sei diventato cavaliere.
Gigi - Cavaliere? Ah, ma è semplice caro nano. Essendo il figlio d’un arciduca ed essendo il minore di tre fratelli...
Cippa -
Hai tre fratelli? Proprio come me, se avessi tre fratelli! E come si chiamano?


Gigi agita la mano in segno di fastidio e si mette a ricercar nel meandro della mente il nome dei suoi fratelli. Cosa che ci dice due cose: dell’una oll’altra (credo si scriva così, ma non so. Se avete suggerimenti scrivetemi a “La posta di Stauce, via Velocemente presso Lagreppia”). Cioè, o non è vero che ha dei fratelli, e allora si deve dubitare come io credo di tutto quello che ha raccontato finora, oppure i suoi fratelli non gli son così simpatici, cosa peraltre possibilissima, essendo i suoi tre fratelli delle persone arroganti e del tutto prive di buone maniere.


Gigi -
Mmmm... uno Camillo, mi pare... e l’altro è Coso, Lì...

Cippa - Non te lo ricordi?
Gigi -
No, si chiama così. Coso, Lì. Con tanto di virgola. Ora però sta a te raccontar la tua vita, no?

Cippa -
Sì, ma...

Gigi - Vai, farò finta di non aver sentito le tue vane lamentele.
Cippa -
Ordunque, posso fare qualcosa di meglio? Un necrologio non lo so fare...

Gigi - Ti concedo di parlare anche di pyrati e di petunye. Ora vai.

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* Frasco: albero dal fusto menefreghista e dalla frondosa chioma, tutta irta di difficoltà. Alle sue fronde riposò il celebre poeta fasullo Fanfaccione Versabibite mentre componeva la poesia “All’ombra di questo Frasco/ Una calendula m’opprime/ Uccello ingrato!”. Il frasco è albero assai mansueto che vive nelle langhe di Termosifone. Questo per dimostrarvi che l’Autore non conosce la botanica di sciampo.


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